Un novese tra i ribelli filippini
Ha intrapreso ben sette viaggi avventurosi dal 1986 nel sud delle Filippine per approfondire meglio, ma soprattutto, per vivere di persona la realtà di Mindanao, dove si registra una forte presenza islamica che sta cercando di sovvertire lo stato regolare, di religione cattolica per imporre i dettami delle credenze musulmane. È una vera e propria passione quella di Giancarlo Pellicciari, 55 anni, dipendente di un istituto di vigilanza e, durante il tempo libero e le vacanze, lanciato alla ricerca di ogni dettaglio riguardante la vita a Mindanao, incuriosito dall’interesse religioso verso questo territorio, in controtendenza con il resto delle Filippine, unico stato cattolico dell’Asia. “Mi interesso di dialogo interreligioso e sapere quello che sta succedendo a Mindanao, dove una forte presenza islamica mira alla formazione di uno stato indipendente, ha acceso la mia curiosità – racconta Pellicciari – fin dal lontano 1986, anno in cui il presidente Marcos venne costretto all’esilio. Nel corso degli anni ho maturato anche contatti importanti: ho conosciuto un capo tribù, chiamato datu secondo l’idioma locale, per cercare di capire da vicino come mai le frange musulmane vogliono sovvertire il governo cattolico. Poi, ho avuto il privilegio di incontrare due missionari italiani, originari di Treviso, ad Arakan, nel nord est. I missionari occupavano la parrocchia di padre Fausto Tentorio, appartenente al Pontificio Istituto Missioni Estere, che fu ucciso proprio davanti alla chiesa nel corso di un agguato. La sua morte sarebbe dovuta alla difesa delle popolazioni indigene di Mindanao, i Manobos, spesso vittime di discriminazioni da parte dei latifondisti locali. Ho avuto il piacere di notare come questi missionari portano avanti gli ideali di padre Tentorio e di come si interessano delle popolazioni locali, con lo stesso spirito di carità e sacrificio. È superfluo sottolineare come, in certi luoghi del sud delle Filippine, ci si muova soltanto se si è scortati dalla Polizia. Quando sono andato ad Arakan e Kotobato City per visitare le carceri, mi sono sentito ripetere dalle forze dell’ordine che quelle due regioni sono completamente sconsigliate ai turisti. E ho avuto un assaggio di quanto la situazione sia tesa quando ho visto il luogo, dove, ad Ampatuan, sono stati uccisi 59 operatori dell’informazione. Sono stati assassinati a sangue freddo e la stele commemorativa che reca il nome di ognuno di loro, fa affiorare la sensazione di desolazione e smarrimento di fronte ad una tale tragedia. Del resto, Ampatuan, è una zona di forte tensione dove da un momento all’altro potrebbe scoppiare un disastro – conclude Pellicciari – Pensare che quando vado in quei luoghi così rischiosi non sono coperto da assicurazione, perché quelle destinazioni rientrano tra le mete altamente sconsigliate e i turisti non sono ammessi”.
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