Una storia mondiale
Il commentatore sportivo per eccellenza, Federico Buffa, racconta il suo particolare rapporto con gli Usa
Federico Buffa ha la capacità di raccontare le emozioni mondiali in modo estremamente avvincente, divulgativo e incalzante. Fonti autorevoli definiscono Buffa “narratore straordinario, capace di fare vera cultura, cioè di stabilire collegamenti, creare connessioni, aprire digressioni” in possesso di uno stile avvolgente ed evocativo. Federico Buffa racconterà per Sky Sport i Mondiali di calcio 2014 in Brasile che, ormai, sono ai blocchi di partenza. La sua voce rimarrà così impressa ai tantissimi ascoltatori dell’emittente che, tramite essa, potranno vivere momenti indimenticabili e scrivere una nuova pagina della loro vita. Un’esperienza che Federico Buffa regala dallo scorso aprile quando, sempre su Sky Sport conduce il programma “Federico Buffa racconta Storie Mondiali”, dedicato, come suggerisce il nome stesso, agli episodi storici dei Mondiali di calcio. Buffa racconta in quest’estratto il suo rapporto con gli Usa. “Ad un certo punto della mia vita mio padre che vorrebbe farmi fare un anno negli Stati Uniti al liceo – che all’epoca era una cosa abbastanza traumatica – perché conosce una persona il cui figlio lo fa. Io vado in una sorta di ritiro preliminare sul lago di Como di sabato mattina e vengo tagliato al primo turno: “Inadatto al mondo americano”, al che mi sono abbastanza rassegnato. Mi immaginavo giocatore di calcio della squadra e immaginavo che sarei stato piuttosto forte rispetto ai miei coetanei degli anni ’70 americani. Mi avranno ritenuto chiuso e ombroso e quindi inadatto ad andare negli Stati Uniti per un anno. Non mi sono mai perdonato di non esserci andato. Giocavo a pallone e mi proiettavo nell’idea di “vado là e faccio la star!” Stava per andarci Chinaglia e credo ci fosse già andato Pelè o Bobby Moore. Io ero quello che oggi sarebbe trequartista, mi piaceva tanto, ero sicuro che da grande avrei fatto quello lì. È la prima volta che lo racconto. A questo punto mio padre mi imputò: “Ecco, hai visto? Sei il solito, guarda come ti sei comportato!” Ho detto “Vabbè, sono un quindicenne papà, son problemi dei quindicenni”, e lui mi disse “Non mi arrendo”, e per la maturità mi regalò una summer session a UCLA. Sociologia. La Summer School durava quarantacinque giorni… Ma io sono andato da un professore e gli ho detto “Prof, non mi faccia neanche fare l’esame perché sono stato picchiato dal mio compagno di stanza taiwanese perché avevamo degli orari diversi e lui si arrabbiava”. Dopo il viaggio ho capito che quel posto lì sarebbe stato la mia destinazione perenne. Ultimamente mi sono messo a contare e ho superato i cento visti”.
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